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Guido Ceronetti[Guido_Ceronetti]

 
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Tăcerea trupului : fragmente
Proză 2005-06-14 (6025 afişări)


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Biografie Guido Ceronetti

Poet, eseist, critic, filozof, ziarist si manuitor de papusi, Guido Ceronetti este una dintre cele mai interesante figuri ale lumii artistice italiene.

A tradus din clasicii latini (Martial, Catul, Juvenal) si din Biblie, a publicat proza (Aquilegia, 1973), poezie (Poesie 1968-1978, 1978), multa eseistica rafinata si caustica (Difesa della luna e altri argomenti di miseria terrestre, 1971; La Musa ulcerosa, 1978; La vita apparente, 1982; Albergo Italia, 1983; Confessioni e disperazioni, 1993; Deliri disarmati, 1993 s.a.) si nenumarate cronici in La Stampa.

In 1970 a infiintat Teatro dei Sensibili, un teatru de marionete devenit celebru, pentru care a scris numeroase piese.

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Guido Ceronetti ovvero Del silenzio. De + ablativo è una costruzione latina che già ci comunica qualcosa di questo autore, è una lingua che ama, che rispetta al punto da far tradurre dal filologo Carlo Carena le parole che più gli stanno a cuore.

Nasce a Torino nel 1927, lo stesso anno in cui Heidegger pubblica Essere e tempo. Silenzio, corpo, essere, tempo, viaggio: sono coordinate in cui si muove la sua poetica, perché è essenzialmente poeta. In quel suo corpo magro, negli occhi azzurri dove abita l’infinito. Impossibile stendere una biografia senza averlo visto, senza conoscere la timidezza che lo accompagna come un bastone da passeggio, la ritrosia ad ogni forma di scavo che non sia d’anima, la purezza delle sue rare, pubbliche apparizioni. Si nasconde dietro una marionetta o una fotografia, come un bimbo dietro il grembiule della madre.

Lessi la prima intervista su «Max» che ne pubblicava anche belle foto. Se la fisiognomica ha un valore, il suo viso è la mappa di un itinerario alla ricerca della purezza, del candore. Ecco, egli, graffiante e cinico è talmente candido… Le opere più significative: Viaggio in Italia (1983), Il silenzio dei corpi (1994), Tutte le poesie.

Il Viaggio in Italia è la cifra degli scrittori romantici di ogni epoca, un bagaglio di natura e cultura cui affidare gli odori acri del mezzogiorno, le "nebbie di anice" del nord, l’essenzialità della Toscana, la convivialità generosa della Romagna, la Roma barocca. Quasi un rito iniziatico per i cultori del bello. Guido Ceronetti ne compone un paesaggio differente, intimo, interiore, dove la «pioggia s’invena», tanto fa parte della psiche. È un viaggio sentimentale e lucido dove le brutture del moderno si sposano con lampi improvvisi di poesia inconsapevole, spesso scritta da chi poeta non è. Come in tutti i viaggi il protagonista è solo, perché il viaggio è sostanzialmente solitudine. Itinerario nello spazio ma anche nel tempo, culla che raccoglie i ricordi di quasi mezzo secolo, le crestaie «dell’ora di mezzogiorno», le donne che facendo pulizia sui balconi cantano, le ragazzine di oggi tutte egualmente strizzate in giacchette di pelle e jeans. Le città avvicinate e accarezzate o rifiutate come corpi femminili. Forse solo a Genova avrebbe potuto ancora innamorarsi.

Genova dove Dino Campana si imbarcava e tornava, sempre vinto, sempre perdente. La follia del Tasso percorre le strade di Ferrara, impossibile tornarci senza sentirla. Intreccio di storie di uomini e di cortili, di muri, di odore di pioggia, di scritte nei cessi, di sere dolcissime e notti inquiete. I cimiteri, poi, depositari del nostro silenzio sono descritti con naturalezza, come normale è la morte. Il cibo semplice, frugale, accompagna lo scrittore quasi a trattenere, a rafforzare la sua identità che così, solo per il mondo potrebbe vacillare. La familiarità, la consuetudine con il cibo lo riconduce all’intimità.

Il silenzio dei corpi è l’opera filosofica, in cui il pensiero si fa altro da sé e spazia all’interno e all’esterno alla ricerca del senso delle cose. Senso che è scavo, ruga, scoperta, luce, malattia, dolore, dialogo, assolo, carne che si decompone o esulta, corpo…

Altri hanno scritto sul corpo (U.Galimberti, F.Rella , E.Borgna), ma Ceronetti ha fatto tesoro della traduzione de Il Cantico dei Cantici, ove natura e cultura s’intrecciano e confondono al punto che la parola stessa s’incarna e diventa fragile, con i nervi scoperti, pudica e lontana dal ventre e pur viscerale, profonda, gutturale, straziata da malinconia o invasa da gioia. Nella copia del libro che Ceronetti stesso mi ha donato ho due segnalibri: una penna di passerotto e un biglietto di Kremerata baltica (Gidon Kremer, violinista, settembre musica del 2000), quasi a voler significare i due temi del libro: la fragilità del corpo e dell’anima e la tensione suprema verso l’infinito che la musica rappresenta.

L’intelligenza separata dal cuore, la delicatezza eccessiva che costringe il pensiero a prendere le distanze dal vulcano di desiderio e dolore che il corpo contiene a stento. Eros entra nel libro al lume di candela, quasi come un rito religioso, ove la gratitudine è il compenso. «Chi tace o non sorride dopo l’amore, degrada Eros». «La malattia pensata fa meno paura», il tema del corpo che s’ammala senza tenerezza intorno, solo, tra esami senza fine e terapie. Nelle prime pagine del libro, illumina il titolo la riproduzione del quadro di Goya e il suo medico: «poema di umanità che non si contempla senza lacrime… tributo di riconoscenza che di stupore ci folgora».

Il ventre mostro e generatore di mostri, in Emile Zola, in L.F.Celine, come in Ceronetti è il ventre palcoscenico della nascita e della morte, attaccato più di ogni altro organo da infinite sofferenze: emorragie, peccati di gola e di avarizia, lussuria, il contenitore del peccato e della punizione. «Il problema della salvezza (della vera sapienza) è svuotarsi e io non faccio che seguire le mie curiosità libertine, mi riempio, divoro passato, inseguo spettri nei corridoi del tempo». Ogni libro di Guido Ceronetti è un poema sul tempo, è nato il giorno della pubblicazione del libro di Heidegger, l’ho già citato. Il tempo cantato, passato, divorato, atteso, concluso, l’uomo viaggia sempre e soltanto nel tempo.

Tutte le poesie. È quasi impossibile parlare di poesia senza essere poeti. Quella di Ceronetti permea tutta la sua scrittura, poeti in qualche modo si nasce. Il poeta è colui che invece di masticare la realtà la tranghiottisce senza denti, fa del cibo un simbolo, una nuvola, un dolore, un ricordo… I titoli delle raccolte sono già possibili oggetti di studio: La distanza, Scavi e segnali. E poi le traduzioni “storiche” di Catullo, Marziale, Il Cantico dei cantici, Qohélet che segnano la parola con una cifra del tutto personale. La traduzione per Ceronetti è un “gesto sacro”, è meditazione nel profondo, è ricerca filologica, è l’atto dell’ostetrica che porta alla luce.

All’inizio o alla fine dei suoi lavori poetici ci sono pagine in cui egli spiega il tempo, lo spazio, il modo in cui opera, ed è bello immaginarlo scrivere in piedi davanti a una finestra, mentre sorseggia il tè verde, all’alba come un soldato in guerra. Perché la sua è una vera e propria battaglia contro il brutto, contro il volgare, contro gli “operati d’anima” e il verso poetico è medicamento alla bruttura e all’insignificanza. Desidero riportare una poesia di “passione civile” ma molto musicale, scritta dopo un disastro ecologico: L’angelo sterminatore.

Sotto l’ala sgualcita del lenzuolo
Aspettavamo lo sterminatore
La voce era di medico e di amico
La favola remava senza riva
Il buio urlante dell’Occupatore
Finestre dov’è un lume ha tutte in mira
Voragine dell’Unità infinita
Che cosa sai di due piccole vite?

Questo testo superiormente poetico contiene tutti i temi della profondità labirintica di Ceronetti, in questo caso, anche una virtù che non gli è del tutto congeniale: la semplicità. È come se, dovendo approntare un testo di larga diffusione, avesse l’impegno etico di farsi comprendere da tutti. L’impegno civile, la passione amorosa estesa al cosmo, la denuncia del brutto, dell’oscurità delle nostre vite che ripetono stereotipi. Un giorno l’ho paragonato a un maestro del tè, allo stesso tempo filosofo e guerriero.
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